Il personale della scuola cui fornisco puntuale consulenza pensionistica previdenziale, m’ispira una riflessione un po’ meno “tecnica” del solito.

Andare in pensione un vero dramma esistenziale. La pensione è sempre stata una tappa fondamentale nella vita del lavoratore, il più delle volte è vissuta come la fine della propria esistenza, o l’inizio di una discesa che porta inevitabilmente al senso d’inutilità e disistima.

Nel lavoro spesso s’identifica la stessa esistenza, il proprio ruolo nella vita, ed è proprio per questo che la pensione diventa causa di depressioni e di “invecchiamento”. Ovviamente le conseguenze aumentano proporzionalmente al ruolo che il lavoratore ha occupato, le posizioni a elevato status professionale, infatti, subiscono i crolli più devastanti, un vero strappo alla propria identità!  Le leggi che ormai si susseguono senza pietà, accompagnate peraltro da una spietata propaganda alla corsa verso la pensione, impongono già ai 60enni di indossare gli abiti della vecchiaia, dell’inutilità della cosiddetta rottamazione inneggiando a un pseudo ricambio generazionale e privandoli anche in termini economici di un dignitoso volontario proseguimento.

Autorevoli sono i pareri di psicoterapeuti e psicologi sociali che in più circostanze hanno rilevato come la pensione sia spesso un evento vissuto in modo drammatico.

Il messaggio che arriva dai geriatri riuniti nell’ambito del consueto congresso nazionale della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg) è chiaro: "Non desiderate pazzamente di andare in pensione, perché non sapete che cosa vi aspetta. Preparatevi per tempo ad affrontare quel senso di vuoto e inutilità che può nuocere gravemente alla salute".

Il punto è che attorno al lavoro e alla posizione professionale si sono costruite l’autostima, buona parte delle proprie relazioni e, quindi, della propria vita.  L’effettivo “godimento” della pensione presuppone di essere psicologicamente sani: è quest’aspetto pregnante che rischia di essere sottovalutato. Quando si è nel cuore della vita lavorativa, infatti, spesso esclamiamo: “Non vedo l’ora di andare in pensione!” in realtà in quel momento stiamo ignorando che la vera tragedia della vita è che tutto cambia… tutto arriva! Le leggi impongono un tramonto quando il sole è ancora alto, allungando così il penoso cammino in discesa! Specialmente per quei lavoratori che hanno iniziato in età adolescenziale. Ci domandiamo cosa fare? Quali soluzioni adottare? La prima cosa è riconoscere che "oggi una persona di 62 anni è giovane" e quindi consentire almeno una scelta facoltativa al pensionamento.

Certo non sarà più sufficiente la soluzione degli hobby, bisogna imparare a distinguere il lavoro dal proprio animo, l’impegno deve essere circoscritto a una parte della vita, non è la stessa esistenza! Bisogna coltivare sin dall’inizio altri interessi che riescano a dare un significato e una continuità tra presente e futuro… bisogna arrivare a questa tappa già preparati e organizzati per non vivere la tragedia di dover inventare un futuro… che peraltro è stato anticipato, per non permettere alla pensione di diventare sinonimo di vecchiaia.  Trovare in definitiva soluzioni nuove, innovative al fine di superare le ricette tradizionali con cui si affrontano i problemi della terza età.


Giuliano Coan è consulente e docente in diritto previdenziale.